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Ripartiamo dai nostri paesi

Riflessione del presidente della Fondazione Maria Carta. Il coronavirus ci impone un cambio di stile di vita.

Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che la situazione di emergenza creata dal coronavirus potesse modificare in modo tanto veloce e radicale la vita delle persone, aprendo la strada a un nuovo modo di ripensare l’esistenza di ciascuno di noi.

Si pensi, per esempio, al cosiddetto “lavoro e didattica da casa”, per lungo tempo teorizzato e mai concretamente messo in pratica. C’è voluta la pandemia, con tutta la sua sconvolgente aggressività, a mettere all’angolo assurde disposizioni burocratiche e mancanza di seria volontà nell’attuare questa forma di lavoro che, alla luce dei fatti, si sta dimostrando efficace e vincente. Bisognerà, come detto, riprogrammare il nostro nuovo futuro partendo da una rivalutazione dei piccoli centri che l’attuale dibattito, animato da numerosi contributi provenienti da autorevoli rappresentanti del mondo della cultura, rende più che mai interessante.

Da vari anni la Fondazione Maria Carta si batte con il progetto “Freemmos” in difesa dei piccoli centri della Sardegna che rischiano l’estinzione. In questo periodo abbiamo raccolto testimonianze provenienti dai più disparati settori con contributi di urbanisti, architetti, sociologi, artigiani, artisti, scrittori, allevatori e imprenditori.

Pensiamo di aver acquisito un bagaglio di conoscenze per farci un’idea abbastanza precisa sul futuro delle nostre piccole comunità.

Esse hanno la possibilità oggi di vivere una nuova e felice stagione.

Perché questo accada, è necessario che si attuino concreti investimenti, innanzitutto in infrastrutture tecnologiche che consentano l’abbattimento del “divario digitale” tra i piccoli centri (in modo particolare concentrati nelle aree interne) e le grandi aree urbane.

Occorre ridefinire un nuovo modello di trasporto locale che colleghi anche i più piccoli e sperduti paesi con i grandi centri urbani.

È necessario incentivare, attraverso meccanismi di sgravio fiscale e contributi economici, tutti coloro che intendono aprire attività commerciali nei piccoli paesi. Interessante il progetto promosso dalla F.A.S.I. (Federazione Associazioni Sarde in Italia) che mira alla ristrutturazione e utilizzo del ricco patrimonio edilizio, presente nelle piccole realtà urbane, di proprietà degli emigrati. Esso si integra con le proposte di acquisto a costo vantaggioso di stabili in alcuni comuni dell’isola, grazie anche alla disponibilità di sindaci lungimiranti e coraggiosi.

Insomma, sono necessari molteplici interventi, non difficilmente attuabili, e questo periodo di riflessione collettiva potrebbe aiutare tutti, in

primis coloro che hanno responsabilità di governo, ad affrontare con più convinzione un tema complesso ma gestibile.

Del milione e 600 mila abitanti dell’isola, 500 mila sono concentrati nelle piccole comunità. Basterebbe nei prossimi 20 anni riportare almeno 150 mila abitanti nei centri a rischio desertificazione e si risolverebbe il problema, evitando la catastrofe sociale che gli studiosi hanno indicato come altamente probabile entro il 2050.

Per fare questo “bi cheret conca” (“ci vuole testa”).

Abbiamo bisogno di teste pensanti, orecchie attente e cuori sensibili, cosa che al momento è mancata

Ci sono molte iniziative che da anni affrontano il tema dello spopolamento. Recentemente si è costituita una Rete di Associazioni (circa una trentina) che si sono poste l’obiettivo di animare il dibattito con incontri, eventi, manifestazioni nei centri della Sardegna.

Riportare una luce di speranza in quei piccoli luoghi dove la luce si sta pian piano spegnendo.

Non possiamo perdere nessun paese, anche se piccolo. In quei borghi è viva la nostra storia e la nostra identità e cancellarla sarebbe un delitto culturale che la storia non ci perdonerà.

Questa maledetta e sconosciuta malattia può non essere l’ultima e questo ci impone un cambio di stile di vita.

La nostra terra può essere terra felice se avremo la capacità di guardare al futuro con rinnovata speranza partendo anche da un comportamento più rispettoso della natura e nei piccoli paesi questo succede già.

L’azione della Fondazione continuerà (anche se non si è mai fermata) e riprenderà il suo viaggio nei piccoli centri cercando di portare un po’ di speranza con i suoni e i colori di quella SARDEGNA autentica che dobbiamo riprenderci. Se staremo insieme e uniti avremo più forza per costruire un nuovo e più umano modello di sviluppo sostenibile.

Abbiamo detto e scritto che “Andrà tutto bene” e che alla fine di questa triste vicenda saremo migliori. DIMOSTRIAMOLO.

Leonardo Marras
Presidente Fondazione Maria Carta


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