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Percorso Culturale

Maria Carta è nata nel Logudoro, a Siligo (Sassari), da una famiglia povera. Ha passato l’infanzia, come ogni bambino della sua condizione, aiutando nel lavoro la famiglia, ma anche prestando attenzione vivacissima alle tradizioni della sua gente.
Fin da bambina quindi ha appreso, insieme con le fatiche e le durezze dell’esistenza, la cultura e i canti della sua terra, che ha cominciato a riprodurre nell’ambito della tradizione più attenta e severa, controllata dai vecchi, depositari di secolari, se non millenarie, melodie.

Fino a questo punto della sua vita nulla c’è stato di diverso dalla storia delle altre donne sarde delle campagne, che si preparavano ad una vita di stenti, dura e solitaria per la lontananza degli uomini, costretti per lunghi periodi nelle tanche di montagna per accudire alle greggi o ad emigrare nelle grandi città industriali del continente, in Germania o in Belgio.
La responsabilità di mandare avanti la casa e di educare i figli ha reso il carattere delle donne sarde forte e temprato. Questa caratteristica non mancava a Maria Carta, che ad un temperamento forte ha unito una sensibilità profonda e delle particolari capacità vocali, doti che hanno fatto di lei un’autentica artista.
Il passaggio quindi da riproduttrice di canti tradizionali ad interprete finissima è stato una tappa obbligata del suo itinerario artistico, che l’ha spinta ad allargare il settore delle ricerche direttamente sul campo, anche nelle regioni della Sardegna limitrofe a quelle in cui è nata e ha passato l’infanzia (Barbagia, Gallura, Campidano), raccogliendo una grande quantità di canti – alcuni dei quali sarebbero altrimenti andati irrimediabilmente perduti – che sono entrati a far parte del suo repertorio.
L’esigenza di una elaborazione filologica e musicologica dei materiali raccolti apparve imprescindibile all’artista, che perciò ne ha curato l’approccio metodologico presso il “Centro studi di musica popolare” dell’Accademia di Santa Cecilia di Roma, dopo il suo trasferimento nella capitale (1958).
Maria Carta ha portato a sintesi due elementi fondamentali dell’espressione musicale: il canto di “memoria”, cioè l’autentica tradizione antica vissuta in prima persona, e l’interpretazione mediata dall’acuta sensibilità dell’artista che, attraverso una voce profonda, dal timbro di contralto, prevalentemente drammatica, carica di vibrazioni e di elementi espressivi, fu capace di attirare fortemente l’attenzione del pubblico e di trasmettergli le sue emozioni.

Queste due “anime” sempre presenti ed espresse insieme in Maria Carta hanno fatto di lei un’artista eccezionale, capace, pur nel rispetto della tradizione, di fornire sempre nuove interpretazioni: non poteva solo riprodurre, ma ad ogni concerto sempre ricreare. Da qui un’ulteriore esigenza di ricerca di testi antichi, quali le raccolte di poesie in lingua logudorese dei secoli XVIII e XIX, aderenti sempre più alla sua sensibilità di artista. Ne è derivato un patrimonio culturale nuovo e antico allo stesso tempo, personalissimo, sottolineato dalle doti di musicalità tipiche di Maria Carta e della sua emozione interna, vissuta, sofferta, come può derivare da un profondo sentire, da una partecipazione in prima persona a quanto di volta in volta proponeva, dopo che i suoni e le parole erano diventati parte integrante di lei.

Un altro aspetto della personalità artistica di Maria Carta è stata l’attività di poetessa. Ha pubblicato il volume Canto rituale, Roma 1975, e ha lasciato numerosi inediti di grande intensità. Il volume a stampa contiene una serie di componimenti su uomini e paesaggi della Sardegna dell’inizio della seconda metà del Novecento, in cui sono evidenziati la civiltà, le contraddizioni, i traumi, la disgregazione, le passioni di questa terra. Il vigore dell’espressione, l’incisività del linguaggio, il lirismo delle immagini, la cultura profonda e matura che emerge da ogni fatto narrato, l’emozione che viene trasmessa al lettore posto di fronte a cose viste e misurate con l’occhio, a suoni fatti propri e riprodotti con la mediazione della sensibilità del poeta, caratterizzano questo libro, che raccoglie un centinaio di poesie autonome, ma è al contempo un poema unitario.
Fra Maria Carta cantante e Maria Carta poeta c’è stata continuità culturale ed artistica che si è manifestata nell’esteriorizzarsi della tragicità: le poesie non concedono nulla ai lati piacevoli della vita, è solo la disperazione – di tempi perduti, di società dissolte, di istituzioni e consuetudini sociali obliterate, di condizioni di vita inumane, di passioni inappagate, di radici strappate – che ha fatto “cantare” il poeta e ha ispirato alla cantante espressioni artistiche e interpretative tutte personali, che si rinnovavano ogni volta e ogni volta erano dolorosamente patite. Questa sua esperienza è stata trasmessa anche a livello universitario, nelle lezioni tenute all’Università di Bologna nel 1991.
Il pubblico di tutto il mondo ha potuto apprezzarne il talento naturale, le doti vocali, la sensibilità artistica. Il festival di Avignone (1980), l’Accademia Chigiana di Siena (1981), il festival del lieder di Carpi, la basilica di Massenzio a Roma, i teatri più prestigiosi d’Italia e d’Europa l’hanno vista numerose volte interprete applaudita, amata e mai dimenticata.

Prof. Francesca Bocchi
Università di Bologna

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