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Hanno detto di Lei

 

(Ennio Morricone Presentazione dell’Album “Paradiso in Re”, 1971)

Circa vent’anni fa, dopo essere stato incaricato dal maestro Nataletti e dalla RAI di elaborare liberamente canti popolari di tutto il mondo, incominciai a capire i valori della musica popolare e quindi ad amarla e ad avvicinarmi ad essa. Devo al maestro Giorgio Nataletti quel poco che conosco della musica popolare italiana, vastissimo oceano di canti. Da allora io non tralascio occasione di ricordare che i nostri maggiori tesori non sono ancora conosciuti e rischierebbero di essere ignorati da tutti se un ristretto numero di illustri specialisti non registrassero dalla viva voce del popolo le melodie che altrimenti col tempo andrebbero perdute.
Polemicamente, di fronte all’invasione subita dalla musica di consumo italiana dal folclore di altri paesi, cercai di rivendicare a noi la forza e il dovere di imporre il nostro folclore, ma per molto tempo inutilmente.
Ora che la nostra moda ha capito (anche se molto tardi, la lezione degli altri) la voce e i canti di Maria Carta si inseriscono luminosamente nel nuovo movimento del folk italiano.
Questi canti proposti in un momento della loro vita che chiamerei primitivo, puro, umile, semplice, sanguigno, privo di elaborazione, serviranno a colmare inizialmente la lacuna.
È per queste ragioni e con viva gioia che ho accettato di presentare queste meravigliose esecuzioni della tanto famosa e brava Maria Carta, che eseguendo i canti della sua Terra ce li rende così come sono: i più belli, drammatici e magici del nostro patrimonio popolare.


(Giuseppe Dessì Presentazione dell’Album “Delirio”, 1974)

Avevo sentito parlare di Maria Carta e l’avevo intravista sul video, poi me la sono trovata di fronte all’improvviso ed ho provato una forte emozione come chi ritrova una persona del proprio sangue o chi ritorna nella propria terra dopo una troppo lunga assenza.
Il suo bel viso, la fierezza e insieme la grazia del suo portamento, più che un simbolo, sono una personificazione di quella Sardegna intangibile e indomita che ho sempre amato. Quando la sua voce calda e potente si alza e riempie lo spazio, si aprono infiniti orizzonti che scendono nella storia. Dopo aver conosciuto Maria Carta, ancora una volta affermo che i soli grandi uomini della Sardegna sono le nostre donne.
Ennio Morricone definisce la musica popolare italiana un “vastissimo oceano di canti”. In questo vastissimo oceano, la musica popolare sarda è un isola sconosciuta, benché Gavino Gabriel, per diffonderla, le abbia dedicato quasi una vita.
Maria canta in logudorese, che non è un dialetto, ma una lingua romanza come l’antico provenzale. Sono canti tradizionali tramandati di generazione in generazione dal 1200 ad oggi, gli stessi che i guerriglieri di Eleonora d’Arborea ascoltavano dalle loro donne nelle valli deserte o nelle steppe dell’altopiano dove anche Maria cantava da bambina.
La sua voce pura riempie da sola spazi profondi, dove rivive la Sardegna al limite della preistoria. E quando tace riassorbe in sé questi spazi, questo tempo insondabile.
Tra i rari documenti della lingua logudorese ci sono i canti che Maria fa conoscere al mondo. Sono canti d’amore e di morte, di festa e di solitudine, di dolore e di gioia: dicono la vita di un popolo, di quel popolo che lei ama e che canta liberando nella sua voce stupenda la forza esistenziale del suo sentire.


(Severino Gazzelloni Presentazione dell’Album “Dies Irae”, 1975)

Questa raccolta di brani costituisce per me un’autentica rilettura del canto gregoriano, compiuta da un musicista come Luciano Michelini, che personalmente conosco per altre eccellenti prove da lui fornite – pochi giovani compositori sono oggi capaci di intendere il gregoriano nella sua autentica matrice – e da un’artista del livello di Maria Carta, dalla voce arcana, esoterica, carica di remote vibrazioni, la sola forse tra le rappresentanti del suo folclore, nella cui arte possa fondersi la modalità gregoriana con le astuzie di una moderna orchestrazione.
Ho l’impressione di uno spazio che ci riporta dalla Abbazia di Montecassino al mistero dei Nuraghi, a motivo della squisita voce di Maria Carta, tesa in un’interpretazione di stile particolarissimo, nel richiamo di brividi profondi, ancestrali, permeata da un timbro suadente, puro, genuinamente arcaico; uno strumento completo insomma, che dona un’immediata commozione, attraverso tutte le sue peculiari qualità espressive, che si muove a proprio agio nella dimensione dello spirito gregoriano, che viene trasformato e nello stesso tempo rimane intatto, riuscendo così a penetrare il sentimento di chi ascolta, purificandone e raffinandone lo spirito, allontanando le ombre di un’epoca sempre più inquieta.


(Angelo Branduardi Presentazione dell’Album “Umbras”, 1978)

Musica come magia:
Il suono può evocare ciò che la ragione e con essa la parola, che ne è strumento, non arrivano ad esprimere.
Un tempo con la musica l’uomo esplorava il mondo popolato dai fantasmi dell’inconscio, curando col ritmo ed il canto i corpi e gli animi.
Oggi Maria ridona alla musica il suo potere esorcizzante e, ricreando il magico ponte fra il musicista-stregone ed il suo auditorio, ancora una volta allontana il buio che ci fa paura.

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